“Mentre correvo verso la Maratona pensavo ai miei genitori, a tutti i sacrifici che hanno fatto. Questo per me è un momento magico: sogno di conservare il posto da titolare nel Toro e di conquistarlo anche nell’Under 21. Ma è meglio non montarsi la testa: a noi del Filadelfia hanno insegnato a restare umili, con i piedi per terra”. Già, perché nel calcio come nella vita ci sono carriere che durano un’eternità, e cammini che fioriscono e si spengono in un lampo. E’ il caso di Alvise Zago, uno dei talenti più luccicanti dell’ultima infornata del vecchio Fila.

 

Alvise è nato il 20 agosto del 1969, è un leone come segno zodiacale, una pantera con il pallone fra i piedi. Sì, perché quel ragazzino di appena diciannove anni è nato per giocare: la palla gli si attacca al piede manco avesse la colla, ma quando la perde ha le movenze veloci e la grinta sinuosa del felino che non molla fin quando non recupera. Tradotto: è il 1988 quando quella vecchia volpe di Gigi Radice lo scopre nella Primavera di Sergio Vatta e se lo porta in prima squadra. Potrebbe essere la mossa giusta per salvare una stagione nata male, in cui i brasiliani granata sono uno peggio dell’altro, fra il fantasma di Muller e la macchietta Edu. Domenica 4 dicembre 1988 negli spogliatoi dello stadio Comunale Zago però non si fida: “Mai montarsi la testa” dice con la maturità dei giovani nati vecchi. Alvise ha appena segnato il primo gol in serie A che vale il prezioso pareggio contro il Verona in una giornata grigia sotto ogni senso, e lo ha fatto con la maglia numero dieci sulle spalle. Ha il mondo ai suoi piedi, Zago, eppure non si fida. Da quella domenica, e da quel gran gol di testa, la maglia numero dieci gli si appiccica alla schiena: la indossa la settimana successiva a Bologna, e ancora contro il Milan, fino a stringere la mano – domenica 8 gennaio 1989 – al numero dieci fra i numeri dieci, Diego Armando Maradona. E ancora il Pisa, prima di indossare la otto e la sette – ma sempre da titolare – contro Ascoli e Como. Per Radice Zago è già un punto fermo, un intoccabile, e a febbraio rieccolo con la dieci: Lecce, poi la Sampdoria. E qui la storia prende una piega completamente diversa: perché domenica 19 febbraio a Marassi, proprio mentre Jovanotti muove i primi passi a Sanremo, in due minuti Zago passa dalle stelle alle stalle. Al 15’ segna il secondo gol in campionato, al 17’ della 17ª partita in A si scontra fortuitamente testa contro testa con lo spagnolo Victor. I due crollano al suolo e si vivono attimi di terrore: a spaventare è il mediano blucerchiato che sviene e rischia di morire per soffocamento perché la lingua gli si è rivoltata nella trachea. In quel momento le condizioni di Zago quasi quasi sembrano più tranquillizzanti: si parla di distorsione al ginocchio, “starà fuori un paio di mesi” dice una prima diagnosi. E invece no: il ginocchio è andato in frantumi e in un amen i sogni diventano incubi. Fra un’operazione e l’altra, il calvario di Zago durerà un anno e mezzo e al ritorno in campo il Torino lo manda in prestito in B, al Pescara, nel tentativo di ritrovare il grande giocatore. Un’altra stagione in prestito in B, al Pisa, prima del ritorno al Torino, ma nulla sembra essere come prima. La cessione al Bologna in C1 nel 1993 è il segnale di resa dei granata e per Zago l’inizio di un triste girovagare che lo porta a vestire le maglie di Nola, Saronno, Varese, Seregno e Meda, prima di chiudere la sua carriera nella sua Rivoli, in Eccellenza.

Oggi Alvise è un uomo buono che guarda il calcio con gli occhi della nostalgia. Ma in quegli occhi dolci resta un flashback del Comunale: la punizione a rientrare dalla sinistra di Skoro, il salto in alto di Zago, il colpo di testa imperioso, il gol al Verona, la corsa sotto la Maratona.

 

Stadio Comunale, domenica 4 dicembre 1988, ore 14,30
TORINO-VERONA 1-1 (0-1)
RETI: 3’ pt Caniggia, 31’ st Zago.
TORINO: Lorieri, Brambati, Ferri, Rossi, Benedetti, Comi, Fuser, Sabato, Muller, Zago, Skoro. All. Radice.
VERONA: Cervone, Berthold, Volpecina, D. Bonetti, Pioli, Iachini, Caniggia, Troglio, Galderisi, Bortolazzi, Pacione. All. Bagnoli.
ARBITRO: Frigerio di Milano.
NOTE. Ammoniti: Brambati, D. Bonetti, Iachini e Pioli. Spettatori: 21.260

 

 


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